Perché ci appassiona questo sport assurdo

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Alessandro
25/01/2022, 20:22:40

Perché ci appassiona questo sport assurdo

Dal punto di vista europocentrico, intendo dire..

Nel mio caso, da un punto di vista temporale la cosa é duplice: il primo innamoramento venne alle medie, visto ceh avevo un amico il cui fratello giocava nei Warriors Bologna, che mi inizio ai misteri del gridiron, versione alle vongole.
Nello stesso epriodo mi regalarono una carpetta portadisegni (tavole tecniche, quindi enormi) con i caschi delle squadre NFL, e li´ scattó una specie di cortocircuito, che peró ebbe vita breve - tra le altre cose perché era impossibile vedere anche solo spezzoni di partita in TV, ed in ogni caso tra Fortitudo basket e Juventus calcio (sí, un capitolo triste della mia vita ,anche qui c'é una ragione ma andremmo parecchio OT..) di sport ne avevo abbastanza fra le mani

La seconda parte venne quando pure il fratellino divenne addicted, e inauguró una serie trionfale di Superbowl persi (uno i Bengals, quattro i Bills, senza contare le occasioni in cui da "neutrali" sceglievamo una squadra, in genere la sfavorita).

Sono fermamente convinto che un vero tifoso deve avere una vena masochista, senno´ non avrei scelto l'altra squadra di basket di Bologna, quella che non vinceva mai un tubo e prendeva l'ascensore (un anno in serie A, il seguente in B, ritorno trionfale in A, con un piano quinquennale la stabilitá (cit. CCCP), debacle totale e ritorno mesto in B etc etc.)
Per questa ragione tifare Bills diventava quasi obbligato, anche se i primi tempi sembrava che l'attacco no huddle dovesse asfaltare ogni avversario - e non per modo di dire: al primo SB i Bills arrivarono avendo schiantato i Raiders credo 50-3..

Ad ogni modo, non sono ancora arrivato al nocciolo del discorso: perché proprio questo sport?
Una componente importante era sicuramente il desiderio di fare il contrario degli altri, tutti parlavano di calcio e io dopo Italia '90 ne avevo la nausea ( tanto é vero ceh ricordo ancora Caniggia con affetto..), e visto che il baseball mi era incomprensibile e il basket a Bologna é inevitabile come la morte, le tasse e la nebbia mi orientai vero la NFL pensando (erroneamente..) che si trattasse di una specie di rugby, con poche regole chiare, non l'avessi mai detto!

Un'altra componente fondamentale erano i nomi poetici delle sqaudre, specie conforntati con quelli delle squadre di basket, cioé dei loro sponsor: Billy Milano, Mangiebevi Ferrara, o piú recentemente Prosciutto Carpegna Pesaro.. Vuoi mettere tifare per i Redskins o i Raiders rispetto a gridare Forza Aprimatic o Let's go Latte Sole??

Per ultimo,mi ha sempre affascinato la dicotomia tra le due anime del gioco, il running game ed il passing game: mi parevano due modi di combattere una guerra, gli uni in trincea gli altri in aviazione.. Poi c'era questa disparitá fisica tra giocatori, gazzelle veloci tipo Jerry Rice e facoceri da 150 chili tipo Perry, il famigerato Refridgerator

Insomma, queste sono alcune ragioni, totalmente irrazionali come é giusto che sia, la parola al resto del mondo!

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giobenelab
26/01/2022, 15:43:10

Aggiunte rapide

a parte le motivazioni cia citate e condivise, aggiungerei che occorre fare un distinguo tra perche ci appassiona ora e perche ci appasisonava allora. immagini qui si parli tel tempo presente, non di quello che fu, quindi aggiungerei forse un po la nostalgia di quei tempi la, in cui appunto l'NFL aveva un grosso peso e il resto era tutto meno impegnativo e basically senza conseguenze.

e ovviamente la spettacolarita' del gesto, l'atleticismo, la ricezione in tuffo.
ma anche la lotta in trincea quasi mai riconosciuta, i piccoli dettagli di movimento o leva che permettono di fare un sack o liberarsi da un placcaggio.

e anche il fatto che, come purtroppo abbiamo visto, e' uno dei pochi sport in cui davvero fino all'ultimo secondo (letteralmente) non e' finita e tutto puo cambiare con una giocata.
ultima aggiunta, specifica per il giorno d'oggi: la voglia di riscatto e rivincita degli eterni perdenti, anche per un senso di giustizia sportiva e/o divina, che ci accompagna dal calcio di Norwood in poi...

ultimo pensiero sulla clandestinita' delle partite, guardate di sgamo alle 3 di notte su un sito dodgy costellato di donnine con tutto di fuori che "ti aspettano stasera" etc... e il cameratismo fraterno in queste imprese di nottambulismo deleterio e nocivo alla salute

Rispondi
alesino
28/01/2022, 15:26:17

Postilla

il cameratismo fraterno in queste imprese di nottambulismo deleterio e nocivo alla salute

Questo é forse il motivo principale, non l'avevo messo perché é piú recente (se non si contano i primi due SB in diretta..) , ma certo da solo non resterei in piedi fino alle 4.20 per soffrire cosí - anche se l'anno scorso mia figlia seguí con me il quarto coi RAvens, ma piú per il gusto di tirar tardi che epr reale interesse..

  Rispondi
Claudio_VL
29/01/2022, 02:43:05

La mia passione per il football americano

Grazie per aver condiviso le origini della vostra passione per il football americano. La mia nacque parecchi anni fa, e si può leggere come la una lista dei nomi dei giocatori e delle persone che hanno contribuito alla crescita del mio interesse per l’argomento.

Il primo ricordo cosciente che ho e’ un articolo di TV Sorrisi e Canzoni sui Dallas Cowboys, i nomi e le foto che mi sono rimaste impresse nella memoria erano quelle del QB Danny White e del RB Tony Dorsett, l’anno era circa il 1980. Poi venne la passione per gli Oakland Raiders, con Jim Plunkett e Marcus Allen, e l’impero del male a quei tempi erano i Washington Redskins col QB Joe Theismann, il kicker Mark Moseley e il RB John Riggins. Marcus Allen fece una comparsata anche alla TV italiana, ospite di Mike Bongiorno in un quiz del giovedì sera. Dan Peterson, poi Guido Bagatta e più avanti il duo Flavio Tranquillo & Bebo Nori: queste sono le voci degli evangelisti del football che ho conosciuto, e forse dovrei mettere nella lista anche mia madre e mia sorella, che la domenica all’ora di pranzo, intorno alla meta’ degli anni Ottanta o poco prima, non si lamentavano troppo quando proponevo / imponevo / supplicavo di guardare la NFL.

Poi venne la passione per i 49ers e per Ronnie Lott e Jerry Rice, il Super Bowl coi Bengals che vidi da fan di San Francisco, nonostante anni prima avessi decorato un casco giocattolo coi colori dei Bengals, come tu, Gio, avevi fatto con uno sgabello (scelta facile: il casco dei Bengals era privo di logo e quindi facile da riprodurre, ed era meno noioso di quello dei Browns).

Per la stagione 1984/85 mi preparai con una guida alla NFL di Guido Bagatta, e mi convinsi che, se mai avessi voluto giocare a football, avrei avuto delle speranze come cornerback o wide receiver, visto che ero sopra la media delle altezze di quei ruoli (media basata sui pochi giocatori per squadra presentati dal libro, che non conteneva i roster completi). Nel dicembre dell’84 partecipai ad una selezione dei Gators Torino, la meno nota delle tre squadre cittadine (le altre erano Giaguari e Tauri). Mi piace pensare di essere stato scartato perché ero troppo magro, ma realisticamente ero invece parecchio scarso e il pallone non sapevo riceverlo, anche se me la cavavo decentemente nel deviarlo (in altri sport: pallavolo, palla schiava).

Negli anni Novanta siamo stati allineati, noi tre: ho sofferto per le sconfitte di Buffalo, dopo essermi innamorato della no huddle offense, di Andre Reed che aveva sempre un po’ di tigna, di lunghi passi di James Lofton, del modo di correre di Thurman Thomas. Dopo le quattro sconfitte dei Bills al Super Bowl la mia passione e’ scemata, come quella per la Juventus si e’ spenta parecchio dopo il 29/05/1985, che per impatto emotivo e’ stato per me un 9/11 ante litteram. Mi sono perso la parte migliore della carriera di Brett Favre, tra le altre cose. Negli anni Novanta ho anche tifato per i Lions di EriK Kramer e per gli Eagles di Randall Cunningham, Seth Joyner (LB) e Eric Allen (CB).

Ok, ho rifatto la stessa storia che avevo già scritto in un’altra pagina del sito, ma non ho risposto alla domanda essenziale: perché amo il football americano.

Perché amo il football americano? Lo amo per la programmaticita’ e pianificabilita’ dell’obiettivo: avanzare passo passo, dieci yard alla volta, fino a conquistare un campo di cento yards, in un’allegoria dei piccoli passi per la conquista del West americano (ai danni di chi in quel territorio ci abitava già da un pezzo).

Mi piace la generale chiarezza delle regole: iniziare a seguire il football americano più o meno nello stesso periodo in cui iniziai a guardare il torneo Cinque Nazioni di rugby, ma le regole del rugby mi risultano tuttora ostiche. Con la NFL, quando siamo a due minuti e venti dalla meta’ tempo o dalla fine della partita mi preparo a correre in bagno / in cucina / fare altre commissioni per casa in occasione del two minutes warning.

Mi piace l'equilibrio tra le squadre e tra i giocatori: i Jaguars e i Jets che battono squadre più quotate. I Lions che giocano come fossero in corsa per i playoff anche quando sono alla centesima sconfitta consecutiva. I quarterback di riserva che sostituiscono il titolare e ti viene da chiedere "e questo giocatore perché non era titolare?", tipo Nick Foles (o Jeff Hostetler, purtroppo) che vince un Super Bowl, o Gardner Minshew III che entra in campo e fa faville in qualsiasi squadra, perlomeno per una partita o due.

Mi piace (e a volte mi piace meno) la specializzazione dei ruoli, il fatto che in questo sport di giganti c’è spazio anche per gente con un fisico relativamente normale, tipo DeVonta Smith, wide receiver selezionato dai Philadelphia Eagle nell’ultimo draft, 184cm per 77 kg.

Amo il gesto atletico, sia offensivo che difensivo: la ricezione in tuffo, ma ancora di più il difensore che intercetta la palla anticipando il ricevitore o leggendo gli occhi del quarterback durante un’attesa di pochi interminabili secondi da solo, lontano dai giocatori avversari che vanno verso le loro destinazioni. La corsa del running back che si incunea tra gli uomini di linea o li aggira in velocità, e la corsa degli enormi e atletici defensive end, che aggirano la muraglia umana dell’attacco e si danno appuntamento al quarterback per un sack tipo sandwich. Amo da sempre la velocità pura, la 4x100 degli Oakland Raiders con Willie Gault, Rob Brown, Sam Graddy che avrebbe potuto vincere una medaglia alle Olimpiadi. I difensori che compaiono dal nulla e conquistano una palla, o smontano un avversario.

Mi piacciono meno le cose di cui mi sono reso conto col passare degli anni: i terribili danni alla salute dei giocatori portati dall’encefalopatia traumatica cronica, i proprietari delle squadre che sfruttano fondi pubblici per la costruzione degli stadi. Dirigenti, allenatori e giocatori che facilitano, assecondano o fingono di ignorare i peggiori comportamenti di compagni di squadra tra l’immaturo e il criminale (in ordine sparso: Aaron Hernandez, Antonio Brown e gli altri. Universita’ e scuole superiori che chiudono entrambi gli occhi di fronte alle limitazioni dei giocatori in classe, purche’ siano al meglio il venerdì sera (quando giocano le superiori) o il sabato sera (quando giocano i college).

Come diceva coach Tony D'Amato in Ogni Maledetta Domenica, mi piace il fatto che il football è un gioco di pollici (o di centimetri): non sono le grandi differenze qualitative tra una squadra e l’altra, tra un quarterback e l’altro, tra una linea difensiva e l’opposta linea offensiva a dettare il risultato di una partita. Spesso si tratta di scontri tra forze equivalenti, e la differenza la fanno i dettagli, le cose minuscole, i pollici, appunto: la differenza tra una vittoria e una sconfitta può essere portata dal non riuscire a raggiungere una palla per pochi centimetri, o calciare un punt troppo a sinistra, o lasciare passare troppo secondi prima di chiedere un time out.

Quanto ho scritto, e non credo di aver spiegato niente!

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